22
Apr

Per la Comunione regaliamo il telefonino ?

Non ho intenzione di demonizzare gli smartphone ma bisogna conoscerne i rischi. L’importanza delle regole quando cominciano a usarli: “Poche ore al giorno e spenti ben prima di andare a letto”

“Il professore sequestra il cellulare, ragazza in gita a Venezia si getta”.


Il telefonino è una droga. Le parole del Papa ai liceali rimbalzano al convegno di Piacenza dove mille esperti d’infanzia, qualche settimana fa, hanno discusso.


E’ giusto considerare il telefonino come una droga?
Si certo, si parla di dipendenza come per le altre droghe nel senso che le sostanze o l’uso smodato dello smartphone disattivano le aree cerebrali del controllo e si “agganciano” a quelle dopaminiche, ovvero del piacere. È tipico di questi strumenti, che non sono da demonizzare ma i cui rischi sono noti.


Per quale motivo lo smartphone si trasforma in uno strumento che dà dipendenza?
Perché viene usato dai ragazzi, soprattutto tra i 12 e i 14 anni, per fare i videogiochi che sono la forma più pericolosa di abuso: devi partecipare nella logica del raggiungimento di un obiettivo. E il cervello si attiva in senso compensatorio: non stacchi sino a che non arrivi al risultato che cambia sempre e non è mai definitivo. Per questo non c’è nessun ragazzo che riesce a smettere da solo. Occorre una limitazione esterna.


Qui entrano in gioco i genitori: cosa devono fare?
Mettere dei limiti. Nelle sedute di coaching è venuta una mamma con un ragazzino di 11 anni raccontandomi che gli aveva regalato lo smartphone per farlo contento. Le ho chiesto: ha messo delle regole? Perché mai, mi fido di mio figlio: la sua risposta. La fiducia non può sostituire la necessarie regole educative.


Ma quando sono adolescenti passano da un video a un gioco, da una chat a Instagram: è difficile intervenire per staccarli, il cellulare è il loro mondo.
“Il marketing crea molte bufale come questa: ci sono tanti ragazzi che praticano sport, che fanno altro. Il problema è che una volta creata l’abitudine si fa più fatica a tornare indietro. E arriviamo a vedere diciottenni che passano sette-otto ore al giorno davanti a quel piccolo schermo. E che stanno male, si ritirano da una vera vita sociale.


Quindi cosa si dovrebbe fare: vietare il telefonino?
Intanto bisogna aspettare un’età ragionevole per darlo in mano ai ragazzi. Per agevolare l’autonomia basta un telefono in prima media, solo dalla terza media si può pensare allo smartphone ma con delle regole: non più di un’ora al giorno. Progressivamente si può aumentare, ma senza superare le due ore. In più va regolato l’uso alla sera per evitare i disturbi del sonno. Togliere il cellulare prima di andare a letto fa parte della convivenza familiare. Ed è il padre che deve intervenire”.
Le sgridate della mamma non servono?
“Il “te lo ripeto dieci volte”, ti sgrido, ti ricatto, ti premio se mi ascolti sono cose che sul bambino hanno influenza. Ma un adolescente è in grado di aggirare gli sbarramenti materni. Ha bisogno invece di una regolazione paterna”.
Un no detto da un papà invece funziona?
“La madre tende ad essere affettiva ed emotiva. Normalmente il padre ha una capacità maggiore di negoziazione. Ecco come funziona per l’uso dello smartphone: di notte non lo puoi usare, a che ora me lo consegni? Ovvero ti metto un paletto, poi negoziamo”.
Il Papa parla anche di una comunicazione che non può essere fatta di semplici contatti.
“Il problema dal mio punto di vista non è morale, sta nella quantità e nell’età nell’uso dello smartphone. Nei ragazzi il cervello è in formazione, il danno è maggiore. Da educatore mi rivolgo per questo ai genitori sempre più fragili nel mettere delle regole: per aiutarli”.

Come mettere delle regole con i figli? Alla prossima puntata …


16
Feb

Sei dipendente dal tuo smartphone? Scoprilo

Come possiamo difenderci dall’abuso di tecnologia ? Vivendo da protagonisti.

Una delle conseguenti più evidenti di questa situazione è la sindrome “FOMO” – Fear Of Missing Out- ciaoè la paura di “ essere tagliati fuori”, che caratterizza molti di noi cybernauti alle soglie del 2020.

A caratterizzare questa sindrome è il pensiero costante che i nostri amici stanno facendo qualcosa di più interessante di noi e che, se non controlliamo quello che stanno facendo, potremmo perderci qualcosa. Gli effetti sono impressionanti.

La prof. Ssa Mary Meeker , presentando nel 2018 i risultati della ricerca Internet Trends 2018, ha ricordato come oggi un utente controlli il proprio smartphone in media centocinquantavolte volte al giorno: una volta ogni sei minuti ( … e che se uno se li desse di baci!!!).

E anche di notte la situazione non cambia: più di sei adolescenti tra i dodici e i vent’anni dorme con al fianco il cellulare acceso; uno su dieci manifesta problemi a prendere sonno.

Un libro interessante ci viene in soccorso. Irresistibile, come dire no alla schiavitù della tecnologia, pubblicato nel 2017 da Adam Alter, professore di psicologia alla New York University. Come racconta l’autore, la tecnologia paradossalmente ci può aiutare.

Un primo passo consistere nel capire quanto effettivamente usiamo il nostro smartphone. Per il mondo Apple basta scaricare Moment, mente per gli Android è disponibile Phone Usage. Grazie a queste app possiamo controllare quanto tempo passiamo in media usando il nostro telefono cellulare e facendo cosa in modo dettagliatissimo.

Se per una settimana il tempo medio giornaliero supera le tre ore, allora è il caso di lavorare per ridurlo.

L’ obiettivo è sempre, dichiaratamente, quello di aumentare la consapevolezza delle abitudini, delle azioni giornaliere che abbiamo interiorizzato e che ci conducono verso stili di vita poco gratificanti.

E allora non ci resta che fermarci e riflettere ( a questo punto dovreste scrivervi quando e per quanto tempo pensate di fermarvi), per poi leggere, nove indicazioni pratiche e di buon senso, su cui agire oggi stesso.

1.Non puoi fare tutto; 2. Stai dove stanno i tuoi piedi; 3. Scegli le esperienze e non gli aggiornamenti sul tuo profilo; 4. Fai una cosa alla volta; 5. Riduci le distrazioni; 6. Concentrati sul presente; 7. L’erba del vicino non è sempre più verde; 8. Limita il tempo sui social media; 9. Gustati il viaggio

E se nella tua città, suonano dal vivo Le Quattro di Stagioni di Vivaldi, lascia tutto, chiudi gli occhi, e lasciati incontrare dalla Bellezza.

Luigi Pietroluongo

03
Feb

Anche tuo figlio gioca a Fortnite?

E’ la lettera di Reed Hastings, Fondatore e CEO di Netflix, arrivata agli investitori nelle ultime settimane che lascia pensare.

Scrive, con una certa sorpresa: “siamo più in competizione con Fortnite di quanto non lo siamo con Hbo” – e viene citato anche il picco di view toccato nell’ottobre scorso in coincidenza con un “down” di Youtube. Come a dire: il problema di Netflix non sono i suoi competitor naturali (Hbo, Hulu, Disney o Amazon) ma tutte le fonti di assorbimento del tempo dei suoi utenti. E il videogame Fortnite da questo punto di vista è imbattibile.

Lanciato all’inizio del 2017 prevede decine di utenti connessi contemporaneamente in modalità tutti-contro-tutti. A novembre gli utenti hanno toccato quota 200 milioni, con un aumento del 60% rispetto a giugno. E se a gennaio giocavano fino a 2 milioni di utenti contemporaneamente, dieci mesi dopo erano diventati più di 8 milioni.

Perché Fortnite è ben più del videogioco del momento; è un fenomeno da 40 milioni di utenti, capace di svelare i segreti del genere oggi più redditizio del settore – il battle royale – e di indicare come stiano cambiando i passatempi preferiti fra gli under 25: videogiocare e guardare chi lo fa, i famosi “Youtuber”.

Il Battle Royal è un genere, ispirato ad un famoso film giapponese da cui prende il nome, in cui i giocatori, di solito molti, devono scontrarsi su una mappa che si restringerà gradualmente e sopravvivere fino alla fine della partita rimanendo gli ultimi sopravvissuti. Fortnite prevede lande sperdute dove bisogna sopravvivere a nemici controllati dall’intelligenza artificiale, il giocatore è chiamato via via ad armarsi, a cooperare con un compagno e a costruirsi postazioni d’attacco, muri di protezione, addirittura piccole fortezze. In altri termini, quella di Fortnite è una miscela arricchita da una grafica in stile cartoon.

A febbraio 2018 ha incassato 103 milioni di dollari solo in micro acquisti e oggi conta circa 10 milioni di utenti in più del suo avo e concorrente. Fra questi ultimi, ci sono giocatori come Drake e Ninja (che per inciso, anche grazie al gioco, ha dichiarato di incassare 500mila dollari al mese). In Fortnite, la modalità battle royale è gratuita e cross-platform. Significa che giocatori su Pc, Xbox One, iOs e Mac (ma il gioco c’è anche per Playstation 4) possono condividere la stessa partita e senza spendere un euro.

Fortnite non è più un gioco, è diventato un fenomeno di costume.

Ma quali sono le componenti che “incollano” letteralmente i bambini e gli adolescenti, senza contare una quota crescente di adulti, allo schermo dei loro device?

Il rinforzo positivo, la competizione e l’assenza del game over.

Il rinforzo positivo segue lo stesso meccanismo del diabolico “Gratta e Vinci” in cui quando vinci 10 euro ti riempi di soddisfazione e ti dimentichi che ne hai spesi in acquisto biglietti 2.000, così in Fortnite hai la possibilità ogni tanto di fare piccole vincite e conquistare spazi, armi, alleanze, nuovi scenari. Ti incoraggia in continuazione con un messaggio subdolo che dice:” vedi che se ti impegni sei bravo, avanti continua così”. E via ore a giocare …

La competizione è tipica dell’età. Immaginate un adolescente esile, oppure al contrario molto robusto, timido, introverso, magari anche amante della tecnologia, amante della logica e della matematica e in una famiglia in difficoltà o perchè i genitori lavorano tutto il giorno o perchè particolarmente conflittuali. Un adolescente solo. Fortinite diventa il luogo della sua auto realizzazione virtuale, dove può dimostrare chi è a tutti ed essere rispettato. Per farlo deve allenarsi ore, sottratte allo studio, al sonno e soprattutto alle relazioni reali.

Quando eravamo piccoli, quelli della mia generazione classe 1972, giocavamo ai videogame nei bar della città o sul lido del mare a colpi di 500 lire. E dopo aver assillato i propri genitori per gli spiccioli, quando il gioco finiva, con la sua inequivocabile scritta GAME OVER, finiva anche l’attaccamento alla macchina fantasmagorica. I Giochi di adesso non finiscono mai. Fortnite, per esempio, non si può neanche mettere in pausa. E’ facile comprendere che i colori accattivanti, il cambio continuo dei paesaggi e degli scenari, la velocità e il ritmo di gioco, le strategie di cooperazione con i tuoi alleati e l’assenza della fine del gioco lo rendono troppo attraente e anche “sorvegliato speciale” per tutti gli adulti.

Molti mi chiedono se è giusto comprare Fortnite al proprio figlio ? La domanda è sbagliata, anche perché Fortnite non si acquista ma si scarica gratuitamente su tutte le piattaforme.

Le domande giuste sono:” sono consapevole che il mio compito educativo prevede a pieno titolo che io debba mediare tra il gioco e la realtà?” “Sono pronto a dedicare tempo, energie, a capire come gioca mio figlio, quanto tempo gioca, con chi gioca?” “Quali sono le alternative che io poso offrire a mio figlio oltre i giochi virtuali?” “In che modo alimento le sue passioni”?

#educareèmegliochecurare #cresciamoinsiemeaifiglichecresciamo

Luigi Pietroluongo

20
Gen

Educare è meglio che Curare

Il maestro Marcello Bruni e uno dei suoi tanti allievi

L’Educazione è una parola démodé. Di cui temo si sia perso il significato profondo e vitale.

Educare non significa avere una “buona condotta”, che è sempre auspicabile se si vive insieme ad altri. Non è un accumulo di esperienze, della serie più ne faccio e meglio è, non è neanche investire sulla memoria come potrebbe capitare in qualche istituzione scolastica o in qualche Università.

Allenare la memoria non è sintomo di intelligenza, anzi la mortifica e la possibilità che vengano trasmesse idee pre-confezionate sulla vita, sull’amore, la nostra socialità e il desiderio di futuro, è altissima.

Vivere senza lo slancio dell’Educazione è vivere il proprio tempo senza conoscersi, senza conoscere le nostre qualità, le potenzialità che ci possono garantire una vita felice per noi stessi e per le persone che ci circondano. E se non ci conosciamo veramente come possiamo cercare e trovare qualcosa che ci corrisponda profondamente ? La nostra Vocazione.

Il problema finale è proprio questo: è la nostra infelicità! Non nel senso che dobbiamo capire tutto, sapere tutto, non sbagliare e non soffrire ma nell’ incapacità di non ritrovarci e disperdere tutto il vissuto, fatiche e gioie, senza un Senso.

Educare significa compiere un viaggio, un cammino di incontri con se stesso e gli altri. Un cammino visibile e concreto, così che nel momento in cui ti fermi e ti guardi indietro ti accorgi della strada fatta.

Educare significa dare un senso all’esperienza, ricondurla ad uno scopo.  Significa credere in qualcosa che ancora non si vede, nel seme che darà la rosa, e investire sulle proprie qualità per far fiorire le qualità di chi incontriamo.

Scendere in profondità e porsi delle domande “trivella” che possano  scavare, scendere oltre il tempo frullato e velocissimo di tuti i giorni.

Molto spesso non riusciamo a diventare profondamente quello che siamo perché nessuno è stato disponibile a rischiare la sua fiducia Per noi. Ed è solo la fiducia che ci abilita al cambiamento.

Far crescere qualcuno non significa farlo aderire alle nostre aspettative e ai nostri desideri ma al contrario mostrare il proprio bene nell’accogliere la sua diversità, quello che lui veramente è, senza se e senza ma.

L’educazione è un viaggio molto lungo, non risponde alla cultura della performance, a volte si semina senza raccogliere nulla.

Ma la certezza è che niente, se seminato nel cuore di chi amiamo, va sprecato.

 

05
Gen

Esiste un metodo per rendere i bambini felici?

Il metodo Danese per crescere bambini felici è un libro che sta facendo molto discutere.

E’ stato scritto da Jessica Joelle Alexander, una mamma americana sposata con un danese e Iben Dissing Sandahl, una psicoterapeuta danese, anche lei con figli da crescere – che ad un certo punto si chiedono come mai tutte le ricerche sociali convergono nel designare la Danimarca come il paese  in grado di rendere, più degli altri, felici genitori e figli.

Il metodo si basa su sei semplici principi, le cui iniziali formano la parola “PARENT” (genitore): Play (gioco), Authenticity (autenticità), Reframing (ristrutturazione degli aspetti negativi), Empathy (empatia), No ultimatum (nessun ultimatum), Togetherness (intimità). 

Nel libro mi colpisce immediatamente questo esempio: «quando un bambino dipinge un disegno non occorre dirgli : “Wow sei un artista veramente straordinario!”. Molto meglio invece domandargli: “Cosa hai pensato mentre lo dipingevi?”, o “perché hai scelto questi colori?” o, semplicemente, “grazie”». Focalizzarsi sul processo, usando un linguaggio valutativo ed emozionale, e relativizzare l’esito di un gioco o un compito: è uno dei punti de Il metodo danese.

Alcuni consigli delle due autrici che mi hanno colpito e che ritengo molto interessanti, sfidanti e stimolanti per noi genitori.

  • “Consiglierei ai genitori di lasciare più tempo per il gioco libero. I bambini possono comunque fare sport, ma è una buona idea cercare di portarli (magari nei weekend se durante la settimana non si riesce) al parco, o sulla spiaggia o in un bosco e lasciarli liberi di giocare con altri bambini.”
  • “I genitori devono o no intervenire nei giochi dei loro figli? No, i genitori dovrebbero cercare di non intervenire molto, perché i bambini imparano tantissimo proprio dall’inventare strategie giocando insieme e risolvendo da soli i propri problemi. In questo modo imparano anche a governare lo stress, cosa che poi li aiuterà molto più avanti nella vita.”

Una scuola che faccia didattica fino alle quattro è troppo impegnativa ai suoi occhi? I bambini italiani sono poi spesso oberati dai compiti. Il fatto che ci siano molte ricerche appena uscite su questo aspetto mostra che i compiti a casa non aiutano gli studenti. 

In Finlandia, un paese leader in campo educativo, i bambini non hanno compiti finché non sono più grandi e lo stesso in Danimarca, paese leader sulla felicità. I bambini sono soprattutto incoraggiati a giocare. I compiti possono essere stressanti e, ripeto, la ricerca recente mostra che non funzionano affatto per i piccoli!

  • Come coltivare quella che lei chiama l’autenticità dei sentimenti o l’onestà emotiva? Si può coltivare l’empatia leggendo storie che inducano diversi tipi di emozioni (non solo felici). Questo insegna l’empatia e crea vicinanza con i bambini. La vita non sempre è allegra e per questo è bene essere onesti con loro sulle emozioni. Spesso sono gli adulti che hanno difficoltà a esprimere emozioni o concetti profondi. Per questo dovrebbero provare a sentirsi più a loro agio nel parlare di temi difficili: in questo modo potrebbero parlare con i propri figli in maniera facile e naturale.    
  • Lei suggerisce di evitare eccessive lodi e complimenti ai bambini, o meglio di farli quando c’è stato un effettivo impegno, non “a prescindere”. I danesi cercano di lodare i bambini, quando sono impegnati in attività, per gli sforzi, non per il risultato. Credono che sia meglio insegnare ai bambini ad apprezzare il processo, e che il giudizio sull’esito sia meno importante. Questo atteggiamento produce in loro una sorta di guida interna, autostima e gioia nel lavorare sulle cose.

Una qualità fondamentale che le autrici sottolineano nel loro libro è la capacità di “restrutturare” la realtà, fornire cioè un racconto positivo e incoraggiante di ciò che accade, riducendo la negatività.

Un ottimista realista è qualcuno che vede il mondo realisticamente. Non ignora che la negatività esista ma è capace di trovare i dettagli positivi in una situazione. “Ristrutturare” è un’abilità che può essere appresa e dunque anche insegnata ai bambini che crescono, in modo che lo facciano naturalmente. Le ricerche mostrano che il modo in cui noi scegliamo di interpretare o descrivere una situazione cambia radicalmente come noi la viviamo. Ci sono molti esempi nel libro. È un tema importante, ma può davvero cambiare la vita ed è una meravigliosa capacità che può essere trasmessa ai nostri figli.  

L’empatia è assolutamente importante. La differenza risiede nel fatto che i danesi la insegnano attivamente. Capiscono che occorre insegnarla, perché riduce il narcisismo, il bullismo e aumenta la felicità. È una capacità che si può approfondire a qualunque età. I genitori sono gli esempi più evidenti, ecco perché dobbiamo lavorare su noi stessi. Provare a cercare il bene negli altri e non etichettarli negativamente. Provare a mettersi nei panni degli altri. Ci sono molte altre idee ed esempi nel libro su come coltivare l’empatia.

L’autrice si sofferma sulle famiglie protettive, sport in cui noi italiani siamo campioni mondiali, perché dichiara apertamente che queste non favoriscono l’empatia. Quando sei troppo protettivo automaticamente proteggi tuo figlio dal provare grandi emozioni: ma così non apprende a capire le altre emozioni. L’empatia inizia comprendendo e fidandosi delle proprie emozioni, così che possiamo imparare come capire gli altri.

Nel libro si mette sotto accusa qualsiasi forma di violenza fisica, anche la sculacciata, ma anche il metodo degli “ultimatum”. Ma cosa fare di fronte a un bambino che si ostina a non rispettare le regole? Assegnargli una punizione (no televisione, no Ipad, no calcetto) non può essere utile?  

Scrive:” Ciò che io propongo è di non mettersi immediatamente in un braccio di ferro o conflitto con i bambini. Molti di noi usano immediatamente ricatti o ultimatum, mentre in Danimarca non usano affatto questo metodo. I danesi lavorano molto per spiegare le regole e le ragioni per le quali i bambini dovrebbero seguire le regole, sin da quando sono molto, molto piccoli (addirittura prima che parlino). È sorprendente: quando si spiegano costantemente le cose ai bambini per come stanno veramente  e con rispetto, in modo che possano capire e fidarsi (invece di usare minacce e punizioni), le cose funzionano in maniera stupefacente. A volte non ascoltano ma moltissime volte lo fanno. Insegna il rispetto e sii rispettoso e sarai rispettato: questa è la filosofia. Un genitore che si controlla si sente anche molto meglio. La calma genera la calma.”

L’autrice introduce il concetto di “hygge” per indicare un’intimità tra i membri della famiglia, che raggiunge il suo massimo grado quando ci si riunisce insieme per mangiare e per cantare. Nel libro si può trovare l’”hygge oath” o il “giuramento hygge”.

Scrive l’autrice:”È qualcosa di cui si può parlare in famiglia e che si può provare a mettere in pratica per un tempo limitato (una cena, un picnic, un pranzo). Hygge è uno spazio psicologico sicuro in cui si può stare con la famiglia senza alzare barriere. Quando entri nell’”hygge” lasci fuori dalla porta lo stress lavorativo, le lamentele, i pettegolezzi, la negatività. Per un periodo definito si cerca di stare insieme pensando a “noi”, non a “io”. I bambini soprattutto traggono benefici da questo tempo perché amano passare del tempo senza conflitti con le loro famiglie. Io l’ho provato con la mia famiglia americana e con i miei amici e davvero funziona. Molti dei nostri lettori l’hanno provato e amato. Credo che anche gli italiani potrebbero sentirsi molto bene perché amano parlare del cibo: qualcosa di molto “hyggelige”, perché è un esempio dello stare insieme senza barriere.”

Il metodo sarà  anche Danese ma in Italia abbiamo, in mezzo a tutti i nostri difetti, il nostro sorriso.

E vedere i propri genitori che provano a cantare e sorridere nelle difficoltà, credo sia un grande atto d’amore. Una grande eredità. 

Luigi Pietroluongo    

29
Dic

Allenamento per Genitori

L’abbraccio

Molti mi chiedono indicazioni pratiche da seguire, nel quotidiano, come strategie educative per i propri figli.

Quanto vi scrivo sono consigli di buon senso, ma non solo, sono anche il frutto di anni di esperienza e ricerca pedagogica sul campo.

Noi genitori cresciamo insieme ai figli che cresciamo, questo tempo di vacanze è un buon periodo per rimetterci in allenamento come testimoni di Gioia e Speranza. Sappiate che quando questi sentimenti sono autentici sono incredibilemte contagiosi.

Vademecum operativo.

  • Fissate  dei limiti, e ricordate che voi siete i genitori del bambino, non degli amici
  • Offrite al bambino uno stile di vita di bilanciato, ricco di ciò di cui ha bisogno, non solo di ciò che vuole
  • Non abbiate paura di dire “No!” quando ciò che il bambino vuole non è ciò di cui ha bisogno
  • Date a vostro figlio cibi nutrienti e limitate gli snack
  • Trascorrete almeno un’ora al giorno in uno spazio verde: andando in bici, camminando, pescando, osservando insetti o uccelli
  • Mettete via i cellulari durante i pasti
  • Fate giochi da tavolo
  • Fate svolgere al bambino piccoli lavori domestici
  • Assicuratevi che il bambino dorma un numero sufficiente di ore in una camera priva di dispositivi tecnologici
  • Insegnategli la responsabilità e l’indipendenza e non proteggetelo dai piccoli fallimenti. In questo modo, imparerà a superare le grandi sfide della vita
  • Non siate voi a preparargli lo zaino per la scuola, non portateglielo voi, se ha dimenticato a casa il pranzo o il diario non portateglielo a scuola, non sbucciate una banana per un bambino di 5 anni. Insegnategli piuttosto come si fa
  • Cercate di ritardare le gratificazioni e fornitegli opportunità di “annoiarsi”, perché è proprio nei momenti di noia che si risveglia la creatività
  • Non ritenetevi la fonte d’intrattenimento dei vostri figli
  • Non curate la noia con la tecnologia
  • Non usate strumenti tecnologici durate i pasti, in macchina, al ristorante, nei supermercati
  • Usate questi momenti come opportunità per insegnare ai bambini a essere attivi anche nei momenti di noia
  • Aiutateli a creare un “kit di pronto soccorso” della noia, con attività e idee per questi momenti.
  • Siate presenti per i vostri bambini e insegnate loro come disciplinarsi e comportarsi:
  • Spegnete i cellulari finché i bambini non vanno a letto, per evitare di essere distratti
  • Insegnate al bambino come riconoscere e gestire la rabbia o la frustrazione
  • Insegnategli a salutare, a condividere, a stare a tavola, a ringraziare
  • Siategli vicini dal punto di vista emotivo: sorridetegli, abbracciatelo, leggete per lui, giocate insieme

Abbracciateli sempre.

Luigi Pietroluongo

20
Dic

La notte delle scarpe Nike

Una sola domanda: perché?

Mi confesso subito: odio le paternali! Mio figlio non è ancora in età per passare la notte fuori al negozio della Nike, ancora per qualche anno me la scampo.

Ma questo conta poco, resta la domanda. Ma io che farei se mio figlio passasse la notte fuori dal negozio per l’ultimo paio di scarpe o per l’ultimo iPhone?

Primo non drammatizzerei, quella notte fuori va contestualizzata e andrebbe considerata dentro altre domande, per esempio il resto delle sue giornate come le passa, con chi, dove, a fare cosa.

Secondo, mi chiederei ma io in cosa ho sbagliato? Senza frustarmi e fustigarmi sarebbe però opportuno fare il punto della situazione su cosa io sto guardando, sì proprio cosi, vorrei essere consapevole di dove poso lo sguardo.

I nostri figli apprendono per fascinazione, per emulazione, per misteriosi timbri emozionali che entrano nella nostra vita in momenti e attimi che nessuno conosce, eppure si depositano in fondo al cuore e alla mente per riapparire in momenti impensabili.

E allora mi domando, prima di arrivare alla fatidica notte Nike, a che punto è la mia crescita personale? Come ho cura di me stesso? Come alleno i miei talenti, perché la vita di ogni giorno, il mio lavoro non sia soffocato da tutte le difficoltà? Come faccio a non dimenticare la bellezza, la musica, l’arte. Qual’è il mio scopo nella vita? La Parola che segna uno spigolo nella vita, che decide cosa sia giusto fare o cosa sia sbagliato ?

Quando sono andato l’ultima volta al museo con mio figlio? In montagna o al mare con un panino, quante volte abbiamo deciso di cucinare insieme la carbonara. Qual è la giornata che abbiamo passato insieme solo io e lui?, Quando lo avete accompagnato alla sua gara di biciclette, pallone e chissà quale sport. Quante volte lo avete abbracciato, accarezzato, e avete condiviso i suoi sogni con lui?

Quando abbiamo fatto tutto questo?

Forse anche avendo fatto tutto questo mio figlio, domani, passerà la sua notte fuori al ghiaccio  per le scarpe Nike. Ma sarà consapevole che quelle sono solo un paio di scarpe. 

I Sogni sono un’altra cosa.      

15
Dic

Essere Genitore è il mestiere più difficile del mondo. A chi lo dici !

Fare i genitori ? E’ il mestiere più difficile del mondo … dicono, senza alcun dubbio, rispondo. 

Ma essere genitori è anche una delle più grandi e affascinanti avventure della nostra vita, ciò che in fondo da un senso al nostro quotidiano. 

E allora, di tanto in tanto, occorre fare il tagliando. Siamo genitori narcisi?

I Genitori Narcisi vedono i loro figli come “estensioni” di loro stessi e non come persone autonome con proprio idee e gusti che, ovviamente è possibile, possono non collimare con i gusti degli stessi genitori.

In questa tipologia di genitore predomina, sempre e su tutto, la competizione. Quanti (si hai capito bene parlo del numero) sono i compiti da fare a casa, quanti sport e quali risultati, quante lingue e quante certificazioni hanno ottenuto. Fratelli, cugini, amichetti non sfugge nessuno alla comparazione, alla misurazione dei risultati ottenuti.

L’angoscia prestazionale (cit. Prof. Massimo Recalcati), in cui siamo tutti immersi, compie una delle azioni più drammatiche di questo tempo, elimina in ogni bambino la sua unicità’, eliminando in questo modo le sue vere leve educative.   

Poco importa a questi genitori sapere quali siano veramente i desideri o le passioni del piccolo, l’unica cosa che sembra coinvolgerli è riuscire ad attirare l’attenzione e l’approvazione degli altri su se stessi, perché della bravura dei figli loro sono i principali fautori.

E così i bambini vivono il disagio di doversi mettere costantemente in mostra come mamma e papà desiderano, senza potersi concedere il lusso di essere se stessi, di scoprire le loro potenzialità e diventare dei talenti.

Bambini cloni dei genitori, svuotati anche della grinta, del desiderio, della loro identità perdono ogni capacità di empatia con gli altri e sono incapaci di comprendere le loro esigenze perché non riescono a fare una distinzione tra ciò che vorrebbero e ciò che viene loro imposto. Figli che pur di compiacere ai genitori ed essere da loro amati sono disposti a qualunque cosa.

Questo disagio comporta per loro la perdita della sensibilità e dell’empatia verso gli altri e solitamente finiscono per seguire le orme del narcisismo genitoriale come se non avessero altra scelta.

Il meccanismo tipico che il narcisista esercita su un figlio è il controllo totale, condizionante, castrante e generalizzato verso ogni aspetto della vita del piccolo.

Questo controllo si può manifestare in diversi modi, eccone alcuni.

Controllo co-dipendente“ho bisogno di te. Non posso vivere senza di te”, questo atteggiamento fa sentire i figli in colpa se non assecondano il genitore il quale li ricatta addirittura della propria esistenza, impedendo ai figli di avere qualsiasi tipo di autonomia e di vivere la propria vita.

Controllo con senso di colpa:“ho dato la mia vita per te. Ho sacrificato tutto”, questo controllo comporta la sensazione di obbligo e di costrizione nei bambini verso i genitori appesantendoli di un fardello che non hanno scelto né desiderano ma che è totalmente castrante, come se “dovessero qualcosa” ai loro genitori narcisisti e dovessero comportarsi in maniera da renderli certamente felici, diversamente si sentirebbero in colpa per l’infelicità causata ai genitori per averli delusi nelle loro aspettative.

Controllo con astinenza affettiva:“sei meritevole del mio affetto solo perché ti comporti come mi aspetto che tu faccia.”, questa minaccia è la peggiore perché il genitore in tal modo vende il suo affetto soltanto a condizione che ottenga quello che vuole, mentre l’amore per i figli deve essere sempre incondizionato, il bambino percepirà tale minaccia come se fosse il suo comportamento a far scaturire l’affetto e la considerazione di cui ha bisogno pertanto non potrà che assecondare il genitore narcisista.

Controllo sul risultato:“dobbiamo lavorare insieme per ottenere un risultato”, in tal modo il controllo diventa diretto e personale, come se il piccolo fosse pedinato costantemente da una guardia del corpo che vigila su ogni suo passo, è un controllo che toglie ogni libertà non solo fisica ma anche mentale ed emotiva.

Controllo esplicito:”Obbediscimi altrimenti ti punisco”, il figlio deve fare quello che impone il genitore se non vuole essere percosso, atto che solitamente viene esibito in pubblico, per dimostrazione della forza e del potere del genitore ma con la conseguenza di frustrare terribilmente il piccolo che si sentirà umiliato e pieno di vergogna.

Controllo di incesto emotivo:“Sei tu il mio vero amore, l’unico, la persona più importante per me.”, quindi il figlio si sente responsabile della felicità del genitore, in tal modo viene ribaltato il ruolo genitoriale ed il piccolo si trasforma nell’adulto di famiglia con gli obblighi e le responsabilità di un grande.

Vorrei chiarire che le frasi sopra citate, nei genitori narcisi, vengono ripetute ossessivamente, come un mantra e in tutte le occasioni, nessuna esclusa. Non è quindi la frase pronunciata una tantum a creare traumi o chissà quale turbamenti.  

 Ti riconosci dentro una di queste categorie? Guarda gli occhi di tuo figlio vedi se è felice.

Prova ad assecondare i suoi desideri non si sa mai che l’inedito verso cui ti porta possa essere meraviglioso. 

Luigi Pietroluongo  

07
Dic

Il tempo dell’Attesa è arrivato per essere vissuto

 

Siete anche voi, come me, pentiti dei gruppi whatsapp ? O siete di quelli dei “gruppi” a oltranza: la classe, gli amici della V A, il calcetto, le amiche dell’infanzia, gli amanti della lasagna, quelli della domenica, del lunedì, della cena e via all’infinito. 

Oggi siamo dentro all’era del “tutto e subito” , se mandiamo il nostro messaggino whatsapp e non compaiono le doppie spunte, ormai famigerate, si attivano immediatamente i circuiti ansiosi:” perché non mi ha risposto? E’ successo qualcosa ? Non mi vuole più sentire ? Dove mi ha detto che sta c’è linea quindi è in un altro posto ! Mi ha mentito! E via così …

Netflix, On Demand e company ci permettono di vedere le serie TV quando vogliamo, che spesso si traduce in “tutte insieme”, una dopo l’altra senza interruzione, tanto da indurci nella tentazione della maratona televisiva, senza staccarsi dal divano. 

Gli americani, che hanno un nome per tutto, chiamano questi eventi Instant Gratification – gratificazione istantanea, il digitale infatti ci porta a confondere la velocità del mezzo con la velocità del fine, con una sottile illusione di successo, una illusione appunto.

Contiamo i like, i follower, possiamo condividere tutto ed avere il riscontro immediato soddisfacendo, appunto, la nostra gratificazione istantanea e se qualcuno non commenta il nostro cervello inizia a viaggiare e a cercare risposte a domande in nessun modo utili e funzionali  ma soprattutto inappropriate al nostro contesto di vita. Per esempio: perché nessuno mi pensa adesso? Perché nessuno mi considera? I criteri sono appunto i like presi in precedenza e quelli assenti nell’ultimo post.

Tutto e subito però ci porta su strade chiuse, in bilico sui burroni. E’ di qualche settimana fa la triste storia di Lisette, una ragazza della provincia americana che decide di trasferirsi a New York per cambiare vita, si è poi riempita di debiti, fino al tracollo, per mostrare ai suoi follower le foto su Instagram.

Abbiamo perso l’uso della pazienza, la capacità di darsi degli obiettivi di lungo periodo, di dare un significato di valori, un orizzonte di senso, rispondere alla domanda perché abbiamo deciso di fare quello che stiamo facendo oggi? E soprattutto cosa facciamo mentre aspettiamo? E se questa attesa ha un valore ? Il quotidiano ci frulla, la frase più sentita nei discorsi quotidiani è : “corro in continuazione”.

Dovremmo rileggere di come tanti uomini con tante storie di successo, non solo economico, hanno reso l’attesa o sarebbe meglio dire il loro viaggio, fecondo, generativo. 

Il fondatore di Ali Baba, colosso cinese, prima di fondare la sua azienda è stato rifiutato dieci volte da Harvard; il fondatore di angry birds, il gioco più famoso della storia ha fallito, prima di questo, 51 giochi arrivando sull’orlo del fallimento,  l’ideatore di whatsapp quando cercava lavoro è stato rifiutato al colloquio proprio da Facebook per poi rivendergli questa app svariati milioni di dollari qualche anno dopo.

Tutte queste persone hanno amato il loro viaggio, le cose che facevano, il costruirle giorno dopo giorno, con tutti i fallimenti del caso. 

Perché dovremmo dare valore all’attesa, quali sono i vantaggi? Per essere più tolleranti verso i nostri errori ed imparare ad essere più resilienti e con più esperienza, per allenarci alla consapevolezza del tempo che viviamo, qual è la qualità del tempo delle nostre giornate ? Per decidere con discernimento, è giusta questa cosa per me, per la mia storia ? E, infine, soprattutto per imparare, perché dobbiamo darci il tempo per studiare.

Ma ciò che vedo di più in pericolo nella gratificazione istantanea è la possibilità che ci induce, se non otteniamo quello che ci aspettiamo, a recedere verso i nostri obiettivi.

Ma noi tutti sappiamo bene che nella vita le cose che acquistano più valore sono proprio quelle in cui decidiamo che il tempo è stato speso bene.

Luigi Pietroluongo 

15
Set

Ma io chi voglio essere ?

La follia della reporter ungherese

Questa mattina, casualmente, ho rivisto le immagini famosissime della nota reporter ungherese che durante il suo lavoro, ha fatto uno sgambetto ad un uomo, padre con in braccio il proprio figlioletto.

Sono rimasto a pensare, fissando il muro ed immaginando la scena, che cosa può spingere ad un gesto del genere. E cioè infierire con cattiveria su un disperato con in braccio il proprio figlio che vuole salvare, Dio sa solo da cosa, dalla guerra o chissà da quale povertà.

Ho rivisto il video più volte per provare a immaginare le emozioni e i sentimenti così forti tali da voler far male, ledere la dignità, olteppasare la soglia della normale solidarietà, dimenticare che apparteniamo all’unica razza umana che abita il pianeta terra.

All’inizio ho avuto un sussulto di rabbia, di disgusto, un fremore di vendetta.

Poi, ad un tratto, ho pensato a quali sentimenti di rabbia o vendetta mi porto anch’io nel cuore, a cosa mi spinge fortemente a pensare solo a me stesso, a quali ombre, ben nascoste, conservo nella mia intimità, a quali ferite ancora sanguinanti ci sono nel mio orgoglio.

Ho avuto la percezione che tutta quella malvagità della reporter potesse, almeno in parte, appartenere anche a me, ben mascherata dai miei modi.

D’istinto ho sentito che questa immagine rappresenta nella mia vita di oggi uno spartiacque, un modo per affermare con forza che io non voglio essere come lei e che per riuscirci l’unica possibilità, in mio possesso, è cercare di essere un uomo migliore.

Continuare a cambiare me stesso, crescere umanamente, spiritualmente, professionalmente, non fermarmi, affermare, pur con tutta la mia umanità, che si PUÒ fare esperienza nella vita  dei sentimenti di amore, coraggio, giustizia, umanità, temperanza, trascendenza.

Si deve, si può.

Luigi Pietroluongo