23
Ago

Lavorare è donare

Oggi ho pensato al nostro contratto collettivo nazionale. Ci è stato chiesto di tenerlo a portata di mano in ufficio, è utile dicono, i colleghi possono consultarlo e verificare tutte le postille.
Possono conoscere quanti giorni di ferie abbiamo, in quali orari dobbiamo lavorare, le voci della busta paga, le mansioni precise e molte altre cose ancora. Il contratto di lavoro regola tutto, o quasi. Se non dovesse bastare ci sono i consulenti del lavoro, commercialisti e avvocatii, tecnici competenti che ti guidano in ogni cavillo giuridico. Diritti e doveri, dicono.

E allora perché i problemi sul posto di lavoro sono infiniti ? Perché tutti rivendicano qualcosa ? Perchè serpeggiano spesso  lamentele, gente malcontenta, rivendicazioni di ogni tipo. Perché ?

Perché si arriva in ritardo al lavoro, parlo anche di 5 minuti di ritardo, perché invece di svolgere i propri compiti si gioca con il cellullare, perchè ci si dimentica completamente che tutto quello che facciamo e diciamo è osservato, studiato dai minori con cui viviamo, perchè veniamo tristi, scoglionati, arrabbiati sul posto del lavoro, perché molti colleghi non conoscono nenache i nomi dei ragazzi con cui sono ?

I ragazzi con cui passo le mie giornate hanno le idee confuse su tante cose, sull’Italia e su loro stessi, ma sul fatto che il lavoro debba portare soldi per riscattarli dalla povertà le idee sono chiare. La loro equazione è la seguente : documenti=lavoro=soldi.

Eppure dentro questa equazione c’è qualcosa che non funziona. E non funziona non solo per questi ragazzi ma anche per gli operatori,  noi che abbiamo scelto, chi più e chi meno,  di essere riferimento educativo per altri.

Chiedo ai miei colleghi se hanno mai pensato che il salario, che ricevono dal lavoro che fanno, è solo la parte finale del lavoro svolto. Manca tutto il resto. Per esempio che il nostro lavoro può realizzarci pienamente come persone, definisce i nostri talenti, ci insegna a condividere, a gratificarci, affiniamo la nostra capacità di affrontare le difficoltà, di risolvere i problemi, di resistere, di gioiere. Di diventare persone migliori, più belle e non solo con qualche soldo in tasca.

Mi rendo conto che queste parole le sentono in pochi, anche nelle famiglie italiane, perchè l’idea del successo e delle periferie esistenziali dell’avere sovrastano qualisasi felicità delle persone.

Mi chiedo, allora, come possiamo misurare negli operatori il desiderio di guardare negli occhi un ragazzo per sostenrlo, l’entusiasmo di giocare insieme a lui, l’impegno nel fare insieme i compiti, la creatività nella cucina, l’ottimismo di affrontare la vita e le sue difficoltà, la resilienza come virtù, la compassione per la sua sofferenza. Come misuriamo la passione durante la giornata?

La risposta è che non possiamo misurare niente di tutto questo, perché tutta questa passione è dono di ogni lavoratore, di ogni uomo che comprende, o meglio fa esperienza personale, che si parte donando ma inaspettatamente si riceve sempre molto di più di quello che si è dato.

 

 

 

 

18
Mag

Il coordinatore lo sa

 

Gioia di Tommaso Primo.

Le relazioni, i silenzi, gli umori di una Equipe sono sempre in movimento. Ci sono fasi che sembrano ripetersi ma sono tutte differenti. Ogni educatore porta un pezzo della sua storia e la mischia, quasi senza accorgersene, insieme a quella degli altri. Il risultato è un vissuto carico, pieno di energia e di sentimenti, che se non ha una direzione esplode.

La partenza di un buon coordinatore è la certezza che dentro il cuore di ogni collega ci sono così tanti talenti, alcuni già scoperti e molti altri ancora da scovare, da diventare un vero e proprio archeologo. Cerca le tracce di quello che vede di buono, le segue come un segugio, aspetta il momento giusto.

E’ il primo a dare fiducia. Rischia per primo.

Il coordinatore si mette in gioco, ha chiara la direzione ma prima di partire ascolta ognuno come un confessore attento, legge negli occhi tutto quello che non è detto, segue il suo istinto e gli indizi come un investigatore per capire quali sono le ambizioni di ognuno.

Il coordinatore imparare ad essere un vero ingegnere perché l’esperienza gli consiglierà come costruire i ponti per unire le divisioni, sostenere i contrasti, e quando proprio non ci riuscirà saprà che dopo essersi incazzato ci sarà il tempo per ricominciare e ripartire.

Deve sentire come soffiano gli umori, imparare a navigare come un marinaio esperto che sa quando cazzare o lascare le vele, spingere e motivare il gruppo sapendo che deve curare una relazione esclusiva con ognuno.

Chi gestisce una equipe sa che non è solo un lavoro ma è soprattutto una scelta, quella di scegliere di appartenere ad uno stile educativo che consapevolmente si condivide. Sa che una equipe ti chiede sempre di uscire da te stesso, a volte ti forza ed è proprio una gran fatica. Scopre, insieme agli altri, se a quel lavoro è vocato.

Un coordinatore sa che non è mai arrivato, quando è felice dopo una bella giornata sa che anche l’indomani deve continuare a conquistarsi ancora il suo pezzo di fiducia.

Un coordinatore lo sa. Sa cos’è la gioia.

 

23
Apr

L’equipe “esaurita”

Il nostro lavoro è fatto di tante relazioni, alcune di esse sono emozionanti altre sono problematiche, in alcuni casi molto problematiche.

Il nostro è uno di quei lavori in cui per vincere devi avere la spinta forte della passione. La passione per i giovani, perché credi che questo é il modo con cui tu puoi lasciare quel piccolo pezzo di mondo, intorno a te, un po migliore di come lo hai trovato.

Ogni giorno in una comunità di adolescenti accadano tante situazioni, alcune molto visibili altre, apparentemente, invisibili. Ma accadono perché in una comunità di giovani c’è sempre vita.

Ed anche quando non accadono eventi particolarmente traumatici, la vita quotidiana con i nostri ragazzi nasconde tante piccole tensioni che si accumulano e di cui spesso anche l’operatore non ne ha consapevolezza fino a quando scoppia. 

Ognuno reagisce a suo modo. C’è chi per un niente vorrebbe menar le mani, chi alza la voce, chi aumenta il normale consumo di caffè e sigarette, chi abusa con l’uso del cellullare, chi alza il livello di intolleranza, chi si sforza di essere positivo mentre dentro é lacerato, insomma ce ne per tutti.

Poi arriva un momento, uno qualsiasi e si accende per un niente la tensione. Cosa fare ?

Prima di tutto non bisogna provare vergogna ne tanto meno senso di inadeguatezza per questo sottile malessere che si sente dentro. Al contrario occorre trovare uno spazio per iniziare una concreta fase di consapevolezza, dando nome e cognome al proprio malessere.

Dobbiamo ricordarci che nel nostro lavoro l’incontro-scontro è costante, nel tempo logorante ed anche, se si perde il senso profondo di quello che si fa, molto demotivante, della serie :” tanto quello che faccio non serve a niente “.

Subito dopo è opportuno fare un’analisi attenta delle alleanze negative nate in Casa Famiglia e di quali sono i profili particolarmente problematici. Quando si hanno le idee chiare e si sono raccolte tutte le informazioni sui ragazzi, si cambia strategia.

Quindi si  cambiano i ruoli degli operatori, si  cambia schema, si cambiano le deleghe del lavoro in Casa, si cambiano le responsabilità, si modificano degli atteggiamenti di risposta agli eventi negativi. Si decide chi diventa un nuovo operatore autorevole. Si cambiano le parole da usare, si modificano anche i silenzi.

Ultimo punto si coltiva fuori della comunità una vita gratificante.

Perché per testimoniare dentro una comunità  il desiderio di vivere una vita bella, la vita dobbiamo saperla vivere per primi sulla nostra pelle.

Buona vita a tutti!

11
Apr

Selezionare, Formare, Innovare

dal diario di questa sera

Sono tre dimensioni più interiori che esteriori, ci aiutano a mantenerci in un atteggiamento attivo, positivo, entusiasta.

Selezionare come discernere. Scegliere i nostri criteri di selezione, prima di tutto etici. Cosa è giusto per me ? E perché ?

Formare come curiosare, contaminarsi. Lasciare che l’esperienza della realtà, compresa l’arte, ci provochi. Continui a porci domande interessanti e desiderio di cercare le risposte.

Innovare come esperienza di ricerca. Atteggiamento del cuore e della mente inquieto. Non pensarsi mai arrivati, godere di quanto fatto ma mantenersi nella posizione di chi deve ancora scoprire.
Madonna della Sapienza, prega per noi!