La maggior parte dei minori stranieri non accompagnati presenti in Regione Lazio sono adolescenti egiziani. Questo dato comporta una riflessione sulla provenienza dei loro modelli educativi e sull’impostazione educativa vissuta dal gruppo operatori nelle Case Famiglia.
Il modello educativo delle famiglie arabe, in particolare nei ghetti urbani o nelle campagne ai margini delle mega-metropoli egiziane, è assertivo. La giovane vita dei bambini, poi adolescenti arabi, viaggia su un binario che ha come assi principali: il pater familias e l’autorità religiosa.
La vita quotidiana, i riti del pranzo e della cena, la scelta della moglie, la scuola e il lavoro sono scelti dalla famiglia e vengono svolti secondo i ritmi già stabiliti della preghiera durante il giorno. Viene stabilito come, dove e quando pregare in modo assolutamente preciso. Viene deciso cosa mangiare e quando mangiarlo, viene stabilito anche quanto deve essere dato ai poveri.
Le dispute in casa, in strada, si risolvono con il menar le mani. Spesso chiedo ai ragazzi, quando arrivano, se hanno fatto mai a botte in Egitto. Solitamente rispondono con un sorriso semplicemente perché è una domanda stupida e come chiedergli se in Egitto hanno mai mangiato! Il pater familias non chiede, sceglie, decide, difficilmente ascolta e regola la vita dei figli tutti i giorni.
I nostri ospiti crescono in questo modo per 13-14 anni fino a quando un corto circuito, ben studiato e oleato dalla criminalità organizzata, li invita a mettersi in viaggio da noi verso un“altro mondo”, il nostro.
Per un giovane arabo abituato alla quotidianità sopra descritta l’arrivo sulla terraferma italiana è devastante. La criminalità li ha ben indottrinati per farli viaggiare ed arrivare nel paradiso terrestre dove li attendono: lavoro, soldi, macchine, case etc… Tutto questo, scopriranno a breve, non esiste.
Il treno del loro quotidiano perde gli assi sicuri su cui viaggiare: autorità familiare e autorità religiosa e loro, inevitabilmente, iniziano a sbandare. Guardano in giro, nei nostri paesi, i loro coetanei e iniziano a pensare, sbagliando, che l’Italia è il paese dei balocchi. Iniziano a pensare ad una libertà che non hanno mai avuto, perdono i riferimenti che li hanno guidati durante tutti i giorni in Egitto.
Le famiglie di provenienza nel frattempo già povere, di mezzi materiali e culturali, si sono indebitate per il viaggio ed iniziano tutti i giorni a chiedere soldi a chi in nessun modo è capace di restituirli.
Con in testa tutto questo entrano in una casa famiglia dove li attendono altri che come loro hanno iniziato il viaggio più importante della loro vita: il viaggio dentro loro stessi.
I ragazzi arabi in gruppo sono completamente diversi da quando sono da soli, il gruppo operatori questo lo impara subito. Essi infatti concorrono per la leadership a suon di botte non conoscono nessun altro sistema.
Inizia il periodo di mediazione culturale.
Il nostro modello educativo poggia sui seguenti pilastri: l’ascolto, la relazione, la socialità. Questi modelli raggiunti dopo secoli di storia in Europa per i ragazzi Egiziani non sono spesso, e soprattutto all’inizio, riconosciuti. Perdendo chi gli ha indicato la strada tutti i giorni e non riconoscendo chi cerca di farlo, in particolare le donne che hanno nella loro cultura solo un compito di accudimento, in comunità iniziano a nascere contrasti.
Qualcuno di loro non è mai andato a scuola in Egitto e quindi è semi analfabeta e non comprende il motivo per cui deve alzarsi e andare a scuola. La classe assomiglia ad una prigione, non ci vanno. Stentano a parlare italiano.
Si evidenzia la prima selezione naturale tra chi ha iniziato, dopo il suo periodo di sbandamento, a cercare altri riferimenti adulti e ad imparare la lingua e chi si costruisce “il piccolo egitto” nella sua cameretta. Questi con il passare dei mesi regrediscono.
Vorrebbero ma non riescono perché incamminarsi verso un nuovo processo di “contestualizzazione” civile e culturale è un viaggio meraviglioso ma difficilissimo e faticoso.
Perché questo processo avvenga occorrono due fattori decisivi (e una serie di variabili): la competenza educativa del gruppo operatori e le risorse intellettive, culturali, di adattamento, di coraggio, di mettersi in gioco, di tenacia, di resilienza di cui ogni ragazzo dispone dal suo background familiare.
Senza questi due importanti fattori non ci può essere nessuna contestualizzazione e fallisce inevitabilmente “il progetto migratorio”.

Maurizio, Ahmed e Abdellamid che giocano